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Dom, Ott

Don Alberione ha conosciuto molto da vicino la sofferenza. Sappiamo tutti quanto ha sofferto durante tutta la sua vita a causa della sua salute fragile. Ma non solo, come padre e fondatore di una grande famiglia religiosa tante volte la sofferenza l’ha visitato. Al di là di tutti i problemi che doveva affrontare, pensiamo per esempio alle perdite che ha vissuto come quella del Maestro Giaccardo, di Don Federico Muzzarelli e della Prima Maestra.

Per questo Don Alberione non parla del soffrire come un mero osservatore. Si tratta di una realtà palpabile in tutta la sua traiettoria di vita. In questo punto il Primo Maestro è stato molto vicino al pensiero dell’Apostolo Paolo e ha visto la sofferenza come partecipazione ai patimenti di Cristo e come vero apostolato. Qui ci soffermeremo appena su alcuni pensieri del fondatore sull’apostolato della sofferenza.

Nei suoi appunti risalenti all’anno 1908 scriveva: “Lo Spirito S. [Santo] dice: se farai bene in questa vita, te lo troverai in morte, sarai felice nell'eternità: è vero che qui soffrirai qualcosa ma godrai poi per sempre, fatti coraggio: la mia grazia ti aiuta” (quaderno 1, p. 17). In questa affermazione ci sembra di sentire l’Apostolo Paolo che dice: “Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rom 8,18).

Nel 1933 parlando sull’importanza delle illustrazioni per l’apostolato della stampa, Don Alberione fa riferimento alla “soddisfazione cristiana delle anime che soffrono per Dio e per lui lavorano” (Apostolato Stampa, p. 69). Nella sequenza il Primo Maestro mette come esempio di queste persone che soffrono per Dio i martiri e i confessori. Ma sicuramente lui pensava a tante altre sorta di sofferenza che colpiscono quelli che fanno il bene.

A noi che siamo sempre preoccupati con quello che dobbiamo fare l’ordine degli apostolati seguito dal Primo Maestro può colpirci duramente. Infatti, egli sembra piuttosto interessato a quello che siamo per solo alla fine arrivare a quello che possiamo fare. La sofferenza è vista dunque come applicazione della passione del Signore nella vita di ogni cristiano. Ovviamente non è qualcosa da cercare, ma non si può nemmeno immaginare una vita di sequela a Gesù senza l’esperienza del soffrire. Don Alberione, però non comprende questa esperienza come qualcosa di passivo ma come apostolato, cioè come una vera missione.

Quello che fa la sofferenza diventare apostolato non è la sua origine neppure la sua grandezza, ma il modo come ognuno l’accoglie e allo stesso tempo la offre. Nella quarta settimana degli esercizi spirituali del 1960 ad Ariccia, nella sua ultima istruzione, il Primo Maestro parla dei vari apostolati (seguendo un ordine diverso di quello che abbiamo visto prima) e difende l’idea della sofferenza come sacramento: “Il P. Faber ha questa espressione: ‘La sofferenza è il più grande sacramento’. Ed è in verità quello che dà il valore agli altri sacramenti. E ne abbiamo tutti e tante sofferenze da offrire al Signore in spirito di apostolato” (UPS IV, 275).

Per riflettere

La sofferenza di Cristo ci rimette alle nostre proprie sofferenze. Non possiamo dimenticarci che è stato esattamente attraverso la sofferenza che il Signore ci ha salvati. Perciò dobbiamo vivere la sofferenza con lo spirito giusto affinché divenga redentrice.

Parlando di sofferenza il nostro pensiero si rivolge agli ammalati, specialmente a quanti vivono l’esperienza del dolore nelle nostre infermerie. Non possiamo scordarci che sono anche loro apostoli. Essi hanno l’opportunità di vivere intimamente uniti a Cristo. Nel primo messaggio che Papa Francesco ha scritto per la Giornata Mondiale del Malato (6 dicembre 2014), diceva:

La Chiesa riconosce in voi, cari ammalati, una speciale presenza di Cristo sofferente. È così: accanto, anzi, dentro la nostra sofferenza c’è quella di Gesù, che ne porta insieme a noi il peso e ne rivela il senso. Quando il Figlio di Dio è salito sulla croce ha distrutto la solitudine della sofferenza e ne ha illuminato l’oscurità. Siamo posti in tal modo dinanzi al mistero dell’amore di Dio per noi, che ci infonde speranza e coraggio: speranza, perché nel disegno d’amore di Dio anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale; e coraggio, per affrontare ogni avversità in sua compagnia, uniti a Lui.

 C’è secondo Francesco una “solidarietà” nella sofferenza, ossia Cristo è sempre con noi anche e – possiamo dirlo – soprattutto quando soffriamo. Se siamo sicuri che Gesù è sempre accanto a noi, troveremo forza per vivere serenamente i momenti dolorosi della nostra vita. Infatti la serenità è caratteristica di quelle persone che comprendono il valore della sofferenza e sono capaci di guardare la vita sempre a partire da Gesù e dal suo esempio. Queste persone riescono a comunicare l’amore di Dio più di molti discorsi tecnicamente perfetti.

Ma la sofferenza non è soltanto fisica. Ci sono tante altre modalità. Pensiamo ad esempio nella vita comune: quante sofferenze ci procura. Sopportare i nostri limiti e quelli degli altri non è assolutamente piacevole. Sarebbe molto più comodo se potessimo organizzare i nostri orari invece di seguire la disciplina che la comunità ci richiede. Condividere la vita con persone che ragionano in modo diverso e addirittura opposto al nostro non è per niente gradevole. Sono tutte circostanze che possiamo vivere con spirito di rivolta oppure serenamente e consapevolmente offrirle al Signore come apostolato.

Dunque la sofferenza è parte costitutiva dell’esistenza umana. Non si può passare per questo mondo senza provarla. Don Alberione – come anche San Paolo – ha compreso bene questa realtà e ha insegnato ai suoi figli e alle sue figlie che invece di soffrire passivamente i dolori e le afflizioni che la vita ci impone, dobbiamo unirci sempre di più a Cristo e offrire tutto ciò che viviamo come sacrificio gradito a Dio.

Prendiamo consapevolezza della sacramentalità della sofferenza. Sempre che dobbiamo vivere un’esperienza di dolore cerchiamo di viverla per Cristo – offrendo il dolore per amore a lui –, con Cristo – sapendo che egli non ci abbandona ma soffre accanto a noi – e in Cristo – pienamente immersi in lui e nel mistero della nostra salvezza. 

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